In cosa credono gli atei?

L’illustre scienziato Antonino Zichichi così ha scritto in un suo libro: “Nessuna scoperta scientifica ha mai messo in dubbio l’esistenza di Dio. La scienza è fonte di valori che sono in comunione, non in antitesi con gli insegnamenti delle Sacre Scritture, con i valori quindi della Verità Rivelata. Né la Scienza né la Logica permettono di concludere che Dio non esiste. Nessun ateo può quindi illudersi di essere più ‘logico’ e più ‘scientifico’ di colui che crede. Chi sceglie l’ateismo fa quindi un atto di fede: nel nulla. Credere in Dio è più logico e più scientifico di credere nel nulla.” (A.Zichichi, Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo, Milano, Milano 1999, p.215).
Dunque, gli atei credono eccome. Credono nel nulla, ma credono.
In un certo qual modo si può dire che l’ateismo, quello teorico, ha bisogno di molta più fede rispetto al teismo; perché mentre quest’ultimo poggia sul fatto che la dinamica della realtà naturale, con l’universalità del principio di causalità, conduce all’evidenza di una Causa Prima; l’ateo, invece, deve sì riconoscere che la realtà naturale funzioni in un certo modo, ma questo “certo modo” non sarebbe più valido per quanto riguarda l’origine di tutto. E, dunque, dal nulla dovrebbe essere scaturito qualcosa, il che è oggettivamente un assurdo.
Gli atei credono in questo evidente assurdo. Da qui la paradossalità di dover avere più fede del teista.
C’è un filosofo che ha ben messo in evidenza ciò che stiamo dicendo. É un filosofo relativamente famoso e di cui, quando se ne parla, se ne parla un po’ approssimativamente, nel senso che non si capisce bene la portata del suo pensiero. Mi riferisco al medioevale sant’Anselmo d’Aosta. Questi è famoso per la cosiddetta prova apriori, cioè una prova dell’esistenza di Dio che si basa sulla riflessione del concetto stesso di Dio. Egli ne tratta in una sua opera chiamata Proslogion. La prova dice così: nel concetto di Dio vi è l’assolutezza; ora ciò che è assoluto non può mancare di nulla; dunque Dio, che è assoluto, non può mancare dell’esistenza; pertanto Dio esiste.
Detta così, sembra essere uno scherzetto o uno scioglilingua, nel senso che sembra non essere affatto persuasiva. Infatti bisogna capirla bene. In realtà sant’Anselmo, oltre al Proslogion, scrisse un’altra opera, il Monologion, dove chiaramente dice che Dio va dimostrato utilizzando la classiva via aposteriori, che impone il partire dagli effetti per arrivare alla Causa Prima. La via che già era stata di Aristotele, quando questi parla di Dio come Primo Motore Immobile, e poi di san Tommaso. Dunque, sant’Anselmo è convinto che questa sia la via per eccellenza.
Poi parla anche della via apriori, appunto quella del Proslogion. Ma attenzione: sant’Anselmo pone questa via come una sorta di provocazione; nel senso che egli vuole dire che il concetto stesso di Dio è connaturato nell’uomo e che soprattutto è costitutivo del cosiddetto “senso comune”. Sant’Anselmo è come se dicesse che l’onere della prova non spetta a chi è credente ma a chi non lo è. É l’ateo che deve dimostrare che Dio non esiste, non chi crede. Ciò perché mentre l’affermazione “Dio esiste” è perfettamente logica e conforme all’ordine naturale, l’affermazione “Dio non esiste” va contro la logica e l’ordine naturale, proprio perché non spiega l’esistenza della realtà.
Chesterton dice: “Se non ci fosse Dio, non ci sarebbero gli atei”. Infatti non si è soliti riflettere sul fatto che solo gli uomini possono dirsi atei, gli animali no. Ciò perché l’uomo ha in sé il concetto di Dio, cosa che invece non si verifica nel mondo animale.
Un giorno il celebre chimico Louis Pasteur, che era convintamente credente, ricevette da un suo allievo questa domanda: “Professore, lei che è un grande scienziato, come fa a credere che l’uomo abbia un’anima immortale?” Pasteur si limitò a rispondere: “Proprio la tua domanda me lo dimostra”. Solo l’uomo possiede il concetto di spirito e il concetto di Dio.
Per concludere riporto delle parole di Albert Einstein “Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo come a un miracolo o a un eterno mistero? Apriori, tutto sommato, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Al contrario, il tipo d’ordine che, per esempio, è stato creato dalla teoria della gravitazione di Newton è di carattere completamente diverso: anche se gli assiomi della teoria sono posti dall’uomo, il successo di una tale impresa presuppone un alto grado d’ordine nel mondo oggettivo, che non era affatto giustificato prevedere a priori. E qui compare il sentimento del ‘miracoloso’, che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli.” (A.Einstein, Lettera a Maurice Solovine, Parigi 1956, p.102).
Al di là delle convinzioni dell’illustre fisico su quali caratteristiche debba avere la religiosità, convinzioni tutt’altro che condivisibili, resta da parte di Einstein questa considerazione interessante: il grande mistero della natura è che questa è comprensibile, e dunque è ordinata, e dunque è stata progettata.
L’ateismo, invece, nega questa evidenza… e la deve negare necessariamente per fede.