Armi, arte e potere nel Rinascimento

L’epoca rinascimentale, caratterizzata da endemici conflitti tra le più grandi potenze dominanti, ci ha lasciato un enorme patrimonio di oggetti relativi all’arte della guerra, armi, armature, che oggi diventano una forte testimonianza, oltre che del progresso scientifico e tecnologico, della cultura e dei valori simbolici che vi erano associati.
La mostra romana, curata da Mario Scalini, esperto dell’argomento e direttore del Polo Museale dell’Emilia Romagna, allestita negli spazi di Palazzo Venezia e Castel Sant’Angelo fino all’11 novembre, presenta circa 160 pezzi tra armature, armi da difese e da offesa, armi da fuoco, elmetti, corsaletti, spade e balestre. Le armi del Rinascimento sono esposte ed analizzate in questa occasione, nel tentativo di far rivivere attraverso tali oggetti, una parte della cultura del tempo, quella strettamente legata al potere, al dominio e alla guerra.
Nel 1494 con l’inizio delle guerre d’Italia, la penisola divenne teatro degli scontri tra le più grandi potenze europee, principalmente Francia e Spagna. E le armi divennero il fulcro e l’emblema di tali avvenimenti, ciò che in effetti poteva sancire la vittoria o la disfatta di un esercito: esse erano investite di diversi significati, tanto da creare un metalinguaggio fatto di simboli, iconografie, elementi rituali che le rendevano riconoscibili e incredibilmente preziose. Armi e armature sottintendevano così un complicato sistema di valori, giungendo ad allontanarsi dal mero settore bellico per andare a toccare ambiti connessi alla società, alla politica, alla cultura.
Le armi, nel Rinascimento, come arte
Il rapporto tra l’uomo e le armi si combina strettamente con la religione, il mito, la rappresentazione del potere terreno. Le armi, pur non dimentiche del loro principale scopo, diventano espressioni artistiche, manufatti di altissimo artigianato, raffinate creazioni di oreficeria.
L’armatura Quattro e Cinquecentesca, così come giunse dopo lente trasformazioni dai secoli addietro, racchiudeva in sé il senso dell’immortalità: pesante e ingombrante, seguiva un principio anzitutto difensivo; tuttavia, con il sopraggiungere di nuovi ordigni e armi da fuoco, mutarono anche le tipologie e le tattiche di combattimento, che richiesero una maggiore mobilità del guerriero.
È noto come la prima arma da fuoco da noi conosciuta risalga al 1417. Da allora l’impegno di fonditori e ingegneri portò a progressi e migliorie incessanti. Tra questi troviamo artisti e pittori quali Pisanello e anche Leonardo, in un’epoca in cui le conoscenze tecnico-scientifiche e la loro applicazione non erano settori distanti dalla pratica artistica.
A Istanbul sono conservate ancora le bombarde che ferirono a morte la città al tempo della caduta di Costantinopoli per mano dei turchi ottomani di Maometto II e, su quegli esempi, si arrivò alla costruzione di cannoni più piccoli e letali e alla realizzazione di nuovi progetti di fortificazioni, raccolti nel noto trattato dell’incisore e pittore Albrecht Dürer del 1527, che prefigurava quella che sarebbe stata la diffusione dei bastioni fortificati in tutta Italia nel corso del Cinquecento.
Il senso del bello
Già dall’età bizantina e fino all’epoca moderna esiste una lunga tradizione di manuali di arte militare, con raffigurazioni divulgative di vesti e corazze da combattimento. Il senso del bello, un certo esibizionismo è connaturato con la natura delle armi; ciò si riscontra anche in natura, negli animali, ad esempio, che ricorrono talvolta a vere e proprie esibizioni per incutere paura agli avversari. Così è anche per quanto riguarda l’estetica bellica: potere, forza e bellezza sono intrinsecamente legate alla paura che riescono a produrre, al fine di creare l’armatura perfetta ossia un oggetto difensivo e offensivo al contempo.
Dall’antica tradizione greca giunge fino a noi, attraverso il racconto omerico, il pianto di terrore del piccolo Astianatte, che davanti alle porte Scee vede il cimiero di Ettore, senza riconoscere il genitore. Più tardi nel XII secolo, Chrétien de Troyes nei suoi romanzi ispirati alle leggende bretoni, descrive la reazione di meraviglia del giovane Perceval, che incontra per la prima volta un gruppo di cavalieri armati e li scambia per angeli, a causa della loro forza e bellezza.
Proprio a custodia del Castel Sant’Angelo – oggi emblematica sede della mostra – sta l’arcangelo Michele (presente nella statua bronzea di Peter Anton von Verschaffelt, 1753), che, armato di tutto punto, difende il bastione della Cristianità e sfida il nemico. Ciò si collega alla storia del nome cattolico della mole di Adriano, che deriva dalla visione di papa Gregorio Magno (590-604) dell’Arcangelo sulla cima del castellum nell’atto di rinfoderare la spada, in occasione della fine della peste.
In difesa dei Valori e della Fede
La storia della Chiesa è costellata di battaglie in difesa dei valori e della fede. Battaglie spirituali, ma anche vere e proprie guerre in cui i soldati e i condottieri si affidavano oltre che alla Provvidenza divina anche alle armi e armature.
Talvolta oggetti di mirabile bellezza, la maggior parte di tali utensili erano ideati quali strumenti di difesa, da abbinare all’eccezionale coraggio del combattente cristiano.
Quando ci fu bisogno, papa Giulio II della Rovere (1503-1513) scese personalmente in battaglia. Già in passato alcuni suoi predecessori al soglio di Pietro, quali Giovanni VIII (872-882) e Urbano II (1088-1099), avevano affermato l’importanza della guerra al fine di difendere e ampliare i confini del Regno di Cristo, in accordo con le parole di san Gregorio Magno. Accanto ai Vicari di Cristo, anche dagli ordini monastici si levarono le voci sulla questione.
Il monaco cistercense Bernardo di Chiaravalle lodava il martirio dei soldati, che offrivano la propria vita in nome di Dio. Numerosi scritti di sant’Agostino offrono testimonianza del rapporto tra Cristianità e armi: egli ci ricorda che si combatte contro nemici invisibili con la preghiera e contro i barbari visibili con le armi in pugno. Riprendendo la teoria agostiniana della guerra giusta, san Tommaso d’Aquino afferma che, a certe condizioni, la guerra sia giusta e diviene un atto di umana carità.
Luigi il Santo
Un’espressione storica e concreta di tali teorizzazioni filosofiche è la figura di Luigi IX di Francia, noto come Luigi il Santo (sul trono dal 1226 al 1270): francescano, crociato, un sovrano cristiano per eccellenza. I suoi contemporanei compresero subito e ammirarono la grande forza della sua personalità, così come dimostrano le parole del suo primo biografo, Jean sire di Joinville, che ne compila quasi un’agiografia. San Luigi ebbe sempre chiaro il proprio ruolo: nella consapevolezza di dover accettare con umiltà le cose della fede, fu pronto a difendere con coraggio e con la spada il magistero della Chiesa.
FONTE: Radici Cristiane n. 138