Misericordia o misericordismo: significato e differenze

Che la misericordia di Dio sia una certezza ed una fondamentale verità di fede, non si discute. Occorre però evitare il rischio, specie durante il Giubileo, di confondere l’esaltazione della misericordia con una sorta di deriva misericordista.
In occasione del prossimo Giubileo della Misericordia papa Francesco ha inviato una lettera a monsignor Rino Fisichella, in qualità di presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione. La lettera è stata immediatamente commentata dai media, che hanno evidenziato due punti in particolare: la possibilità di essere assolti dal peccato di aborto da parte di tutti i sacerdoti e la legittimazione delle confessioni amministrate dai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Il peccato di aborto
Il peccato di aborto è uno di quei peccati che il Catechismo indica come “peccato che grida vendetta”, in quanto uccisione volontaria di un innocente. Un tale peccato, pertanto, comporta la scomunica latae sententiae, cioè automatica.
Per questo, in caso di reale pentimento, l’assoluzione può essere data da sacerdoti che ricevano dal vescovo uno speciale permesso. Proprio perché non si tratta solo di un peccato mortale semplice che rende sì membri morti (quindi destinati alla dannazione eterna), ma non separa dalla Chiesa, bensì di un peccato mortale che non solo priva della grazia santificante ma separa dalla comunità ecclesiale.
Ovviamente il gesto del Papa non solo è legittimo, ma ha anche un significato importante: far capire quanto in questo anno speciale ognuno debba sentirsi interpellato dall’infinita misericordia di Dio, nonché come l’amministrazione del Sacramento della Penitenza sia facilmente a disposizione anche per chi sia autenticamente pentito dei peccati più gravi. Fin qui ciò che è evidente.
La Santa Sede ha tenuto a sottolineare che in merito al peccato di aborto nulla cambia nelle disposizioni canoniche. Mediaticamente si è fatta passare però l’idea che in merito si siano voluti allentare i cordoni, quasi fosse un peccato mortale come altri.
Da chi confessarsi
L’altro punto riguarda la legittimità delle confessioni amministrate dai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Questione legata al non riconoscimento canonico di questi sacerdoti. Il Sacramento della Penitenza può essere amministrato previo permesso da parte dell’Ordinario diocesano (cioè il Vescovo), per cui in linea di principio il problema si porrebbe. Resta però il fatto che la Fraternità ha sempre dichiarato di avvalersi del principio di eccezione, che è contemplato nel diritto canonico, eccezione causata dalla profonda crisi post-conciliare che sta attraversando la Chiesa.
Anche qui, nel merito, il gesto del Papa non può che essere giudicato positivamente. Tant’è che la stessa Fraternità, nel comunicato ufficiale, definisce un tale gesto come «paterno». Ovviamente anche qui mediaticamente le cose non sono andate al meglio. Si è voluta far passare la Fraternità San Pio X come una realtà scismatica, quando, tanto nelle intenzioni della Fraternità stessa quanto da un punto di vista canonico, non può essere giudicata tale.
Deriva misericordista?
Che la misericordia di Dio sia una certezza e che quindi sia anche una fondamentale verità di fede, non si discute. Ci sono infatti due peccati contro lo Spirito Santo: abusare della misericordia di Dio e disperare di essa. Ecco il punto: i messaggi che stanno accompagnando questo pontificato sembrano essere quelli non di un’esaltazione della misericordia, quanto di una sorta di deriva misericordista. La misericordia autentica è inscindibilmente legata a due concetti: la speranza e il non-abuso.
Il fatto che Dio sia sempre disposto a perdonare non toglie un’evidenza: che mai se ne debba abusare. San Pio da Pietrelcina soleva affermare: «A me non fa tanto paura la giustizia di Dio quanto la sua misericordia». E a chi gli chiedesse spiegazioni, rispondeva: «Perché della giustizia di Dio non posso abusare, della misericordia di Dio sì».
D’altronde sta qui il motivo per cui un grande teologo moralista qual è stato sant’Alfonso Maria de Liguori affermava che quando vi sia la certezza morale che il penitente stia abusando della misericordia di Dio, il confessore è tenuto a non assolvere per non rendersi complice di sacrilegio.
Spesso si sente dire che è necessario insistere quasi esclusivamente sulla misericordia di Dio, tralasciando la virtù della giustizia perché altrimenti si cadrebbe facilmente in una sorta di rigorismo giansenista. Ovviamente il rigorismo è un grave errore, perché con esso viene giudicato peccato grave ciò che non lo è o addirittura peccato ciò che non è peccato. Errore, che può causare facilmente la dannazione: chi cade nel rigorismo, si convince della gravità di ciò che non è grave e, dal momento che ciò non è grave non è facilmente eliminabile dalla vita, finisce con lasciarsi pericolosamente andare verso il lassismo.
Tale obiezione però non regge perché in questo caso l’abuso della misericordia di Dio non riguarda il peccato lieve, ma quello mortale, per cui l’accusa di rigorismo giansenista cade.
La questione, invece, è un’altra, è che dietro a questa accusa si può celare un concetto di misericordia nuovo rispetto a ciò che è sempre stato tradizionalmente insegnato dalla Chiesa.
In uno dei primi Angelus, papa Francesco parlò della misericordia e poi nell’occasione citò il celebre testo del cardinale Kasper, La misericordia, sottolineando quanto stesse trovando giovamento da quella lettura e lodando le qualità teologiche del cardinale tedesco. Ma qual è l’idea di misericordia di cui parla Kasper? Un’idea in cui si rinuncia all’evidenza dell’intrinsecamente cattivo (intrinsece malum), per far posto ad una dimensione esistenziale dell’atto e del giudizio morali.
Non esisterebbero gesti oggettivamente cattivi, ma gesti da giudicarsi secondo le soggettive intenzioni e situazioni.
Ecco il pericolo, quello di cadere nella tentazione di voler essere più misericordiosi di Cristo e più amorevoli della Vergine (Advocata nostra), che a Fatima venne a chiedere penitenze e sacrifici per evitare che molte anime finissero irrimediabilmente all’inferno.
FONTE: Radici Cristiane n. 109